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Nei panni di mia moglie

"Nei panni di mia moglie" pubblicato da Editrice Nuovi Autori

Imago mortis - un'esca per la regina nera

"IMMAGO MORTIS- un'esca per la regina nera" pubblicato da Il Filo


Un animale fondamentalmente stupido

di Andrea Saviano


Il Cavaliere del Lavoro Ettore Brambilla salì sul palco e, dopo un inchino al vasto uditorio, diede iniziò al discorso di commiato su cui aveva lavorato per giorni.

« Gentili signore ed egregi signori qui gentilmente convenuti, vi ringrazio innanzitutto per il premio che mi avete conferito, ma tutto ciò che ho realizzato nella mia vita è nato dall'egoismo e da una semplice considerazione: una grande ambizione, però incapace di dare un significativo contributo all'umanità, è un modo di condurre la propria esistenza senza dargli alcun significato, » qui s'interruppe perché uno scrosciante applauso aveva reso vana ogni altra sua parola. Una volta tornato il silenzio in sala, riprese il discorso.

« Rileggendo la storia dell'umanità, ci sono stati dei personaggi che si sono definiti grandi per gli eserciti che hanno sconfitto, per le città che hanno distrutto, per le civiltà che sono riusciti a cancellare, » tacque un attimo per osservare la reazione dell'uditorio, quindi riprese a parlare, « in tal modo sono riusciti a costruire degli imperi. Tuttavia, di questi presunti “grandi personaggi” nessuno ne serba il ricordo. Ci sono al contrario delle persone che, senza avere ucciso nemmeno un loro simile, pur essendo morti nella miseria più assoluta, hanno lasciato nella storia una traccia indelebile. Cosa mi ha insegnato tutto questo? Che non è rilevante il numero di vittorie o di sconfitte che collezioniamo in vita, ma il contributo che riusciamo a dare al progresso del sistema. »

Un secondo e più fragoroso applauso lo costrinse a zittirsi e attendere che nella sala tornasse il silenzio.

« É per questo che ogni giorno dobbiamo combattere le nostre quotidiane piccole battaglie senza mai avere cieca fiducia sul fatto che altri le possano condurre per noi. Questo perché il destino non sempre ci concede di effettuare le scelte in assoluta autonomia, ciò nonostante sta sempre e solo a noi la decisione di subire passivamente le scelte altrui. »

Bevve un sorso d'acqua e proseguì.

« Gli antichi dicevano: “quisque faber fortunae sue” che significa: ognuno è artefice delle proprie fortune. Ecco perché il tempo è galantuomo: distrugge i grandi castelli di sabbia mentre conserva le modeste casupole fatte di solidi mattoni. »

Questo era il discorso che l'ormai anziano Cavaliere del Lavoro Ettore Brambilla aveva preparato per ringraziare l'uditorio della bella festa in suo onore: dopo 70 anni di attività il “grande vecchio” aveva deciso di ritirarsi a vita privata e lasciare le redini della sua creatura ad altri.

In quegli ultimi anni della sua lunga e onorata carriera aveva iniziato quella che lui definiva una “campagna acquisti” di guru del management, scatenando tra i dipendenti e i compaesani l'opinione che un grave e fatale male ne avesse minato la salute. In realtà voleva solo preparare al meglio e per tempo quella che lui definiva la “successione al trono”.

Dopotutto aveva delle responsabilità. Metà della popolazione della regione lavorava nelle sue aziende e la restante metà lavorava grazie all'indotto.

Nonostante una vita piena di soddisfazioni e un matrimonio colmo d'amore e felicità, Dio non aveva voluto accordargli – nella sua magnanimità – un erede.

Non che il Cavaliere e sua moglie fossero stati privati della gioia di avere un figlio, anzi ne avevano avuti ben tre: due maschi e una femmina. Solo che il destino, dopo averglieli prestati li aveva chiesti indietro strappandoli alla vita tutti e tre prima del compimento della maggiore età.

Tant'è vero che per ben tre volte la regione aveva sussultato nemmeno fosse stata colpita da un cataclisma, temendo che il Cavaliere sotto quei colpi della sorte crollasse e con lui il suo piccolo impero economico ma degno del nome che portava – quello del massimo eroe troiano – ogni volta aveva saputo guardare dritto negli occhi il suo triste destino e andare oltre a quelle tre porte Scee.

Come detto, per la regione ognuno di quei lutti fu come una calamità naturale, la sola idea che il Cavaliere non si recasse in ufficio aveva spinto le banche a inventarsi mille futili motivi per chiudere per qualche giorno gli sportelli. Invece, forse per reagire al destino o, più semplicemente, per portare la mente altrove, il Cavaliere a ogni fatale sconfitta nella vita aveva rimediato con dei veri e propri trionfi nel lavoro.

Così, alla morte del primo figlio la sua offelleria da piccola realtà locale era diventata un punto di riferimento regionale, poi alla morte della figlia un orgoglio nazionale e infine alla morte del secondo figlio un impero degno di una multinazionale.

Negli ultimi anni, nonostante lo avessero incoraggiato ad allargare la proprietà, magari quotando la società in borsa così da non perderne il controllo, il Brambilla – come lo chiamavano i più intimi tra i concittadini – aveva sempre tenuto a mantenere la sede centrale lì nel paesino e la proprietà saldamente nelle sue capaci mani d'imprenditore d'altri tempi perché, come spesso soleva dire: « La famiglia è il più bel luogo dove far ritorno anche dopo aver visitato luoghi fantastici! »

In quella frase c'era la sua filosofia di vita e il motivo stesso per cui l'azienda, crescendo, non s'era mai snaturata né venduta alle passeggere leggi di mercato.

« Differenziare? Aprire altre attività meno artigianali e più industriali? Automatizzare i processi? Balle! La gente può fare a meno di tante cose in fase di recessione, ma non potrà mai fare a meno di mangiare e tra un cibo scadente e uno di qualità alla fine, al giusto prezzo, opterà sempre per il secondo. »

Ovviamente le squisitezze del Cavaliere del Lavoro Ettore Brambilla non venivano impacchettate una a una dalle sapienti mani di un capace artigiano, tuttavia quella era l'unica attività aziendale che era stata affidata quasi totalmente a una macchina, perché la premiata ditta Brambilla curava particolarmente la propria filiera, al tal punto da possedere e tutelare chilometri quadri di territorio dove coltivava o allevava le proprie materie prime.

L'uditorio era affascinato dalla saggezza e dalla cultura che quell'uomo emanava e lo ascoltava in silenzio interrompendolo a tratti solo per decretargli delle standing-ovation.

Terminata la premessa filosofica sull'essere imprenditore, diede inizio a una rievocazione storica degli eventi che avevano contraddistinto la sua carriera.

Rinvangò, non senza un velo di malinconia, l'epoca in cui il paese era intento a ricostruire ciò che i liberatori avevano distrutto con i loro bombardamenti. All'epoca lui era solo un giovane garzone di bottega che risparmiava ogni soldo guadagnato per alimentare un sogno: acquisire il terreno di fianco a casa sua e lì realizzare un laboratorio per pasticcini. Nasceva così l'Offelleria Brambilla Ettore.

Con i primi guadagni aveva poi avviato un allevamento di pollame in modo da avere uova fresche e di qualità, quindi acquistato altro terreno e lì ci aveva piantato degli alberi da frutto per avere la certezza che il prodotto da lui utilizzato non avesse pesticidi. Fu in quegli anni che avviò una ricerca sui sistemi naturali per disinfestare le piante dai parassiti: « Dopotutto ogni animale, vegetale, muffa o batterio ha un suo nemico in natura! »

Dopo qualche anno, quando la pasticceria aveva già partorito un omonimo pastificio, aveva donato alla città un impianto di depurazione, il primo in Europa.

« Sia ben chiaro, non fu un gesto d'altruismo, ma solo sano egoismo: volevo evitare che le falde venissero inquinate dal liquame. È per questo motivo che qualche anno dopo, a mie spese, realizzai anche un impianto di smaltimento per rifiuti mediante tavole rotanti e vibro-vagliatori. »

Anche questo, ovviamente fu il primo impianto di quel tipo in Europa.

Ben prima che nel mondo si parlasse di riciclaggio, grazie alla pressione economica delle sue donazioni, aveva imposto a mezza regione la raccolta differenziata e tutti i suoi prodotti alimentari – che ormai, oltre a dolci e pasta, comprendevano anche tutte le altre pietanze – utilizzavano solo involucri o riutilizzabili o integralmente riciclabili.

« Fu in quegli anni che m'interessai alla cogenerazione e all'exergia. Una scienza che cerca di sfruttare al meglio l'energia limitando gli sprechi! »

In quegli anni, per assicurarsi l'integrità delle acque, aveva acquisito tutti i terreni che separavano l'azienda dalla pedemontana e negli anni a seguire aveva comprato le prospicienti aree boschive montane, tutelandole dalla speculazione e rendendole un luogo perfetto per coltivare naturalmente ottimi funghi.

Giudicato da molti un folle che gettava il suo denaro dalla finestra, puntualmente smentiva queste malelingue decuplicando sotto forma di utile gli investimenti effettuati.

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